Nuovi farmaci per il linfoma di Hodgkin

Lo scenario della terapia del linfoma di Hodgkin, uno dei linfomi più diffusi soprattutto fra le persone giovani, sta rapidamente cambiando grazie alla scoperta di nuovi farmaci particolarmente attivi contro la malattia. Scopriamo in quale modo.

Uno scenario che cambia grazie ai nuovi farmaci

Lo scenario della terapia del linfoma di Hodgkin, uno dei linfomi più diffusi soprattutto fra le persone giovani, sta rapidamente cambiando grazie alla scoperta di nuovi farmaci particolarmente attivi contro la malattia.

Se il linfoma di Hodgkin mostra un’ottima risposta alle terapie comunemente utilizzate, che consistono principalmente in chemioterapia e/o radioterapia, soprattutto negli stadi iniziali di malattia, negli stadi più avanzati le risposte al trattamento sono minori e le recidive di malattia più frequenti. In questi casi, quando il linfoma di Hodgkin è più esteso (gli stadi III-IV), la terapia consiste in sei cicli di chemioterapia secondo lo schema ABVD (acronimo dei farmaci utilizzati, ovvero: Adriamicina, Bleomicina, Vinblastina e Dacarbazina), seguita o meno – in caso di grandi masse di malattia – da radioterapia, fondamentale in tali casi è la rivalutazione dopo 2 cicli della malattia tramite PET (acronimo inglese che sta per Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni), che può confermare o meno l’efficacia dei trattamenti somministrati. Oppure dall’associazione dell’anticorpo monoclonale Brentuximab Vedotin alla chemioterapia AVD (BV-AVD: Brentuximab Vedotin, Adriamicina, Vinblastina e Dacarbazina) e in questo caso può essere omesso l’utilizzo della interim PET per valutare l’efficacia del trattamento.

In caso di scarsa risposta o recidiva, il programma terapeutico si intensifica fino ad arrivare alla necessità di chemioterapie ad alte dosi e al trapianto autologo di cellule staminali.

Negli ultimi anni la ricerca in questo campo si è concentrata soprattutto sull’utilizzo di nuovi farmaci biologici, proprio per il bisogno di aumentare i tassi di remissione nei casi più aggressivi della malattia. Tra questi, spicca il già citato Brentuximab Vedotin, un anticorpo monoclonale coniugato con una tossina (monometilauristatina E) diretto contro la proteina CD30 delle cellule malate e approvato nello stadio IV alla diagnosi o nei pazienti plurirecidivati; in questo contesto, anche gli inibitori dei checkpoint cellulari, come pembrolizumab e nivolumab, hanno dimostrato di essere una valida arma contro la malattia. Alcuni studi hanno quindi valutato l’efficacia di tali farmaci in associazione alla chemioterapia di prima linea nei linfomi di Hodgkin avanzati, dimostrando ad esempio come l’aggiunta di Brentuximab Vedotin aumentasse la sopravvivenza globale e quella libera da malattia, anche se a costo di una maggiore tossicità per il paziente.

 

Lo studio SWOG S1826

Un importante studio presentato al recente congresso annuale dell’ASCO, l’American Society of Clinical Oncology, si è invece concentrato sul Nivolumab. Nel trial SWOG S1826, studio randomizzato di fase 3, i ricercatori hanno analizzato i linfomi di Hodgkin più aggressivi e difficili da trattare, ovvero gli stadi avanzati, per cercare di capire se Nivolumab, associato alla chemioterapia standard, fosse efficace e meno tossico rispetto al Brentuximab Vedotin, quando usato alla diagnosi. I pazienti arruolati, adolescenti (≥12 anni di età) e adulti con nuova diagnosi di linfoma di Hodgkin in stadio III-IV, sono stati randomizzati 1:1 a ricevere Nivolumab-chemioterapia (AVD) o Brentuximab Vedotin-chemioterapia (AVD) per 6 cicli. In totale, sono stati valutati 976 pazienti (489 nel braccio Nivolumab e 487 nel braccio Brentuximab Vedotin), per la maggior parte giovani con un’età mediana di 27 anni. Dopo un follow-up di 12 mesi, la sopravvivenza libera da malattia è risultata superiore nel braccio contenente Nivolumab (a 1 anno, 94% rispetto all’86% del braccio Brentuximab Vedotin). L’associazione con Nivolumab si è dimostrata anche meglio tollerata, poiché gli effetti collaterali severi (soprattutto le complicanze immunologiche, come le tiroiditi) sono risultati limitati e facilmente gestibili. Inoltre, un minor numero di pazienti è stato sottoposto a radioterapia dopo aver ricevuto Nivolumab, riducendo le complicanze tardive che la radioterapia può portarsi dietro.

Le conclusioni dei ricercatori sono quindi che il trattamento Nivolumab-AVD induce un minore incidenza di recidive di malattia rispetto alla combinazione Brentuximab Vedotin-AVD nei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio avanzato, con una tossicità tollerabile. Lo studio SWOG S1826 contribuisce quindi alla rivalutazione della migliore terapia da somministrare nei linfomi di Hodgkin aggressivi, in quanto l’associazione di nuovi farmaci biologici ai farmaci chemioterapici noti può contribuire a una più profonda e duratura eradicazione della malattia.

Referenze bibliografiche

ASCO 2023 – Studio SWOG S1826
https://meetings.asco.org/abstracts-presentations/219808

Clinical trial information: NCT03907488
https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT03907488