Ho trasformato il mio dolore in amore e speranza
Questa storia inizia 20 anni fa, nell’agosto 2002.
Era una bellissima mattina di sole, in piena estate, non dimenticherò mai quella giornata iniziata così bene e finita così male. La mia compagna Laura all’epoca aveva 22 anni e stava studiando per diventare infermiera, lo stesso lavoro che facevo io già da diversi anni. E proprio quel giorno di agosto abbiamo scoperto che lei aveva una leucemia mieloide acuta, una diagnosi difficile da accettare e da vivere.
Laura è stata seguita prima ad Ancona e poi a Perugia, ha lottato senza mai abbattersi, con coraggio e io ero sempre al suo fianco per proteggerla ed assisterla, tra radio e chemioterapie difficili da metabolizzare. All’epoca non esistevano servizi di supporto, ci trovavamo un pochino da soli seppur col sostegno dei volontari. Ho visto lo smarrimento di tante persone come noi, che dovevano combattere il male lontano da casa, senza punti di riferimento, senza assistenza nelle loro grandi difficoltà. Ma ci sostenevamo a vicenda anche in quei momenti così duri.
Nel percorso di Laura arriva un trapianto di cellule staminali riuscito, che ci aveva dato grandi speranze, una gioia di lì a poco trasformata in dramma per una infezione da Cytomegalovirus che in breve l'ha portata via. Era il 21 Marzo 2003 e Laura doveva compiere 23 anni. Una vita finita troppo presto a cui dovevo dare un senso.
Il dolore era grande, anche lo smarrimento, ma fin da subito è nata in me l’esigenza di dare un significato alla sofferenza, di non lasciare che mi isolasse dagli altri ma che mi portasse in maniera positiva verso le altre persone. Volevo aiutare chi stava passando la stessa esperienza vissuta con Laura ed AIL è stata fin da subito per me un punto di riferimento, un modo per far diventare concreto il mio impegno
Quello che mi ha colpito di questa associazione è stato fin da subito il cuore, se così posso dire. Ho incontrato in reparto i volontari e ho conosciuto da vicino questa realtà che ha voluto dire per me vicinanza, empatia, comprensione, una piccola guida nello smarrimento che ti investe con la diagnosi e la malattia. Ci sono tante associazioni che lavorano in questo ambito ma spesso mi danno l’idea di essere fredde, lontane, una società per azioni, mentre AIL mi ha sempre parlato con la forza della comprensione e dell’amore. Per questo mi sono impegnato in raccolte fondi, piccoli eventi, donazioni. Eppure dopo anni anche questo sostegno mi sembrava insufficiente, volevo fare qualcosa di più grande.
L’idea del lascito è venuta, come spesso succede per le cose belle, quasi per caso. Ero nello studio del notaio per ultimare una compravendita di un garage, davanti a me c’era un’altra persona e mentre aspettavo ho trovato una brochure AIL che spiegava come questa forma di donazione fosse importante per sostenere ricerca e assistenza per i pazienti. Ancora conservo questo opuscolo a casa mia, perché è stato un incontro piovuto dal cielo. La decisione di contattare l’Associazione è stata quasi immediata. L’esperienza vissuta mi ha insegnato a non aspettare dei momenti che non è detto che capitino, a volte non si ha nemmeno il tempo di accorgersene e il tempo a disposizione, anche per fare del bene, finisce d’un tratto. Così ho deciso, il 25 novembre di un anno fa, il giorno in cui ho compito 50 anni, di depositare il mio testamento a favore di AIL, perché così il dolore vissuto continuerà a trasformarsi in aiuto, in speranza.
In quel momento ho provato, paradossalmente, una sensazione di abbondanza, quasi come se il dono lo avessi ricevuto piuttosto che dato. Non voglio che alla fine della mia vita quello che resti di me, di quello che sono stato, di tutto quello che ho vissuto siano solo dei soldi o delle proprietà. Voglio lasciare un segno, voglio continuare ad essere vicino a chi ha sofferto come ho sofferto io, ci tengo tantissimo e ora sono sereno perché so che riuscirò a farlo. Con un lascito solidale.
Simone
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