La storia di Maria

    A 30 anni, poco dopo aver partorito, ho ricevuto una diagnosi difficile che mi ha gettato in un grande sconforto. Avevo un Linfoma. Pensavo al mio bambino, alla mia famiglia, stavo male nel vedere tutti stare male, perché chi circonda il malato a volte sta peggio. Sono stati mesi pesanti e duri. Ora a distanza di 9 anni e con un altro bimbo di 5 anni sono qui a scrivere, sono qui a raccontare e a dare speranza a chi in questo momento sta affrontando una battaglia che si deve combattere credendo sempre alla ricerca.

    Sono Maria, ho 39 anni e quando ne avevo 30 anni la mia vita è cambiata radicalmente, perché una diagnosi di tumore del sangue modifica la percezione delle cose. Sposata da due anni ed in attesa del mio primo figlio, sesto mese, mi comparve un linfonodo al collo. Inizialmente mi spaventai ma il mio medico mi tranquillizzò dicendo era un'infiammazione. Mi calmarono anche per i valori ematici scompensati dicendo che era una risposta del mio sistema immunitario alla gravidanza. Anche l'infettivologo, nonostante le varie stazioni linfonodali gonfie, mi disse che avevo in corso un'infiammazione.

    Nel frattempo, partorisco e i mesi a seguire subentrarono i primi segni della malattia: sudorazione notturna, tantissima stanchezza, dimagrimento. Però, con un figlio piccolo ci stava. Dopo sei mesi, comparve un linfonodo importante all'altezza della clavicola e di lì fu un susseguirsi di controlli ed ecografie per tenere sotto controllo questo linfonodo che continuava a crescere, al punto che avevo difficoltà a ruotare il capo. Nonostante ciò, il mio medico di base di allora, continuava a dirmi che fosse un'infiammazione ed io, che volevo crederci, continuavo a mettermi quella inutile pomata.

    Ritornai dal mio radiologo per l'ennesima ecografia, quella che mi portò a fare una tac d'urgenza, quella dopo la quale arrivò la diagnosi, Linfoma, che mi fece cadere in uno sconforto incredibile, costringendomi all'interruzione dell'allattamento e facendomi confrontare ogni giorno con l'ansia e pensieri negativi. Pensavo al mio bambino, alla mia famiglia, pensavo che fosse giunta la fine, pensavo solo a cose orribili, stavo male nel vedere la mia famiglia stare male, perché chi circonda il malato sta peggio. Vedevo mia madre piangere di nascosto.

    Ricordo ancora il mio ematologo che mi prospettò quello che sarebbe stato il mio percorso di cure che poi ho eseguito presso l’ematologia di Lecce, due ore di macchina dalla mia città. Sono stati mesi pesanti e duri, mesi in cui la mia famiglia è stata fondamentale, da mio marito a mio padre a mia sorella, che mi ha sostituito come madre con mio figlio e la mia mamma, perennemente con me durante le lunghe terapie ad accarezzarmi i capelli. Ora a distanza di 9 anni e con un altro bimbo di 5 anni sono qui a scrivere, sono qui a raccontare e a dare speranza a chi in questo momento sta affrontando una battaglia che si deve combattere credendo sempre alla ricerca, senza la quale nessuno racconterebbe la propria esperienza! Grazie AIL!

    Sei anche tu un combattente?

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