La vita è un disegno da vivere a colori
Mi chiamo Maria Rosaura, ho 23 anni. A 17 anni ho scoperto di essere malata di linfoma di Hodgkin.
Tutto ebbe inizio quando mi resi conto di avere un gonfiore vicino l’orecchio, parte chiamata parotide. Inizialmente non diedi molta importanza al gonfiore, pensai che fosse una normalissima ghiandola.
Fu mia madre a dare l’allarme, perché mentre stavo svolgendo i compiti mi diede una carezza e si rese conto del gonfiore. Corremmo dal medico di base per capire cosa fosse. Ci disse di rivolgerci ad un otorinolaringoiatra, il quale a sua volta ci disse di fare degli accertamenti e di tenerlo sotto controllo. Così fu fatto. Ma il gonfiore continuò ad aumentare e quindi c’era bisogno di operare.
Venni operata e venne diagnosticato un tumore maligno, il Linfoma non Hodgkin. Però il medico che mi aveva operato non si fidò di quello che era stato scritto e consigliò alla mia famiglia di fare degli accertamenti presso l’ospedale Sant’Orsola di Bologna, così fu fatto e la diagnosi cambiò.
Non avevo un Linfoma non Hodgking ma un Hodgkin.
I miei non mi avevano ancora informato di quello che stava succedendo. È stato dopo l’accertamento di Bologna che sono venuta a conoscenza della malattia. È stato il medico a darmi la notizia. Avevano preferito non dirmi nulla, per non farmi preoccupare.
Ma nel mio piccolo avevo già capito che c’era qualcosa in quella diagnosi. E così fu quando il medico mi diede la notizia.
Il medico mi ha sostenuto, mi ha incoraggiata ad andare avanti e a non abbattermi.
Poi purtroppo dopo un anno circa è dovuto andare a New York, e quando l’ho saputo, ci sono rimasta un po’ male perché mi ci ero molto affezionata. Una persona affabile, tranquilla e che sapeva fare bene suo lavoro. Mi piaceva questo di lui. Fare il medico richiede molte responsabilità, rinunce, ore di sonno perse per soccorrere un paziente che non sta bene o per prepararsi per un convegno.
Ho iniziato con le cure, chemioterapia e infine la radioterapia, che non erano leggere, ma molot pesanti.
Tutte le cure che ho fatto, sono state svolte a Bologna, perché non mi fidavo dell’ospedale pugliese. E devo dire che a Bologna mi sono trovata molto bene, come se fossi nata e cresciuta lì. Mi sono sentita a casa.
Ho conosciuto molte persone a CasAil, dove alloggiavo nel periodo di cura, come alcune volontarie, con le quali è nata una bellissima amicizia e ogni volta che capito si approfitta per vedersi e mangiare una pizza insieme.
Quando non sono a Bologna ci sentiamo, e questo mi fa molto piacere. Abbiamo cercato di stare sempre insieme.
C’è stato un periodo, quando dovevo svolgere la radioterapia, che sono stata a Bologna per due settimane. E quasi ogni sera organizzavamo una serata diversa dall’altra.
Molte volte non ho accettato la mia malattia, altre volte si. Quando non l’ho accettata ho pensato di essere una persona diversa, di non essere accettata da chi conoscevo. Di essere in qualche modo cambiata senza essermene accorta.
La cosa che più mi faceva stare male è il fatto di essere stata più volte guardata, fissata da persone che non conoscevo. Mi dava fastidio perche iniziavo a vedermi/considerarmi come una persona diversa, che aveva un problema.
Era vero, ma non era colpa mia se era così evidente. Dall’altra parte però mi ha fatta crescere, mi ha reso forte in quel periodo, mi ha fatto molto riflettere sul vero significato della vita.
Ho iniziato a ritenermi una persona speciale, può sembrare una contraddizione con ciò che ho detto prima. Ma è così.
Durante la malattia ho avuto vicino a me molti amici, di azione cattolica, che mi hanno accompagnato in questo mio cammino. Di questo io sono stata molto felice, poi non so cosa sia successo, ma mi sono allontanata da loro. Ho passato con loro dei bei momenti, che mi hanno portato a crescere. Durante il periodo della malattia frequentavo il 4° liceo.
Il mio rendimento scolastico quell’anno, come del resto gli altri, non era molto elevato. Avevo una media del sei, non riuscivo ad essere al passo delle mie compagne di classe perché molte volte ho dovuto saltare le lezioni per curarmi e quindi dovevo fare tutto da sola.
Ero svantaggiata perché delle lezioni le perdevo e quindi recuperavo da sola e non era facile. Ho avuto la fortuna di avere dei professori che mi hanno capita, che stavo affrontando un momento difficile e mi venivano incontro con le interrogazioni e i compiti in classe.
Quell’anno pensavo di perderlo, invece la fortuna, se così si può dire, è stata dalla mia parte. Nonostante avessi passato quel brutto periodo ci ho messo tutta me stessa per passare l’anno scolastico. Non è stato facile. Molte volte rientravo a scuola il giorno dopo la chemioterapia.
Da questa esperienza, non so cosa realmente ho imparato. Ho imparato molto dagli altri che da me stessa. I miei amici hanno sempre detto che sono stata un modello da seguire, che loro hanno imparato molto da me, ma io molte volte mi domando cosa.
Ognuno di noi ha una storia. E siamo sempre convinti che non abbiamo da insegnare nulla a nessuno, ma in realtà lasciamo una traccia, un qualcosa ad una persona.
Molti mi consideravano come un’eroina davanti a ciò che stavo passando. Anche la mia famiglia è rimasta colpita e mi chiedevamo come facessi.
Ma non c’è una risposta. Ci sarebbe in realtà. Non bisogna vedere la propria vita in maniera negativa.
Una volta feci un incontro in chiesa e mi rimase impressa questa immagine che ci dissero: immaginate davanti a voi, un grande foglio, una matita e una gomma da cancellare. Dio progetta tutto per noi, disegna il nostro percorso di vita, cancella dove lui ritiene da cancellare.
Però io ci aggiungo un altro elemento a questo disegno: i colori che danno senso al nostro progetto, perché la nostra vita non la dobbiamo vedere e vivere in bianco e nero.
Maria Rosaura
Storie di combattenti